top of page

Lettera aperta ai componenti del Tavolo 15 degli Stati Generali dell'Esecuzione Penale


"Operatori penitenziari e formazione". Abbiamo letto il rapporto di medio termine elaborato dal Tavolo 15, che riteniamo di fondamentale importanza anche ai fini del lavoro degli altri Tavoli. Ci dispiace non aver individuato fra i componenti nessuna delle altre figure professionali che da quasi quaranta anni operano in carcere, oltre ai Direttori e ai tre rappresentanti della Polizia Penitenziaria, e vorremmo pertanto contribuire al dibattito, seppure dall'esterno.

Concordiamo pienamente con le premesse e con l'obiettivo di "semplificazione dell'attuale modello organizzativo e di gestione del personale nonché di una riconciliazione delle varie famiglie professionali che, a distanza di 40 anni, non hanno ancora maturato un senso comune di appartenenza".

La prima ipotesi formulata dal tavolo appare coerente con questo obiettivo: il sentimento di appartenenza non può maturare in un contesto in cui le diverse famiglie professionali ricevono input di segno opposto sul piano degli obiettivi istituzionali e diverso trattamento in termini contrattuali. Abbiamo molto apprezzato il focus sulla dicotomia Polizia penitenziaria/Amministrazione, che legittimamente e finalmente sostituisce nella cultura collettiva la dicotomia sicurezza/trattamento. "Legittimamente" perché questa è la realtà dei fatti, ma non possiamo certo essere fieri della strada percorsa.

Possiamo "riconoscerci" tutti in un Corpo di Giustizia dello Stato. Se questo implica pari dignità delle funzioni e delle specializzazioni. Non vogliamo più essere appendice, corpo estraneo, né snaturare d'altro canto le nostre funzioni e competenze. Vorremmo che si superi la dicotomia Polizia penitenziaria /Amministrazione a favore di una amministrazione unica, in cui tutti siano valorizzati e ricevano il riconoscimento dovuto, non solo la Polizia penitenziaria, come purtroppo anche in questa ipotesi appare prioritario. Ricordiamo al Tavolo n 15 che - per gestire i detenuti presenti negli IIPP con il fine di lavorare al reinserimento sociale, come la Costituzione impone - lo Stato impiega oggi meno di mille educatori e circa 37.000 poliziotti, le cui figure apicali sono già oggi il doppio dei Dirigenti penitenziari.

La seconda ipotesi sconcerta profondamente. Essa appare infatti portatrice di disarmonie e conflitti ancora più stridenti di quelli attuali, che hanno prodotto il "debito di legalità, di sicurezza e di risocializzazione" che oggi l'Amministrazione penitenziaria è chiamata a saldare.

L'ipotesi di rivedere funzioni e competenze del direttore di istituto e di valorizzare e responsabilizzare le altre professionalità, ciascuna nel proprio settore, sembra non tenere conto proprio della incapacità di maturare il senso comune di appartenenza denunciato in premessa. Se questo sentimento avesse attecchito e fosse radicato, allora una simile proposta potrebbe avere senso: una consapevole e serena collaborazione nella convinzione comune di perseguire gli stessi chiari obiettivi. Ma non ora. Non siamo assolutamente pronti. Non si può sottacere che le azioni di ciascun settore si ripercuotono necessariamente in tutte le altre aree di intervento e in tutti i servizi dell'istituto, e che il destinatario di tutti gli interventi è unico e comune, la popolazione in esecuzione penale. E' proprio questa l'origine del conflitto e della dicotomia di cui tutti sono coscienti, e la soluzione prospettata non farebbe che sancire la dicotomia, istituzionalizzando la "legge del più forte".

L'impianto della legge penitenziaria, e le circolari che si sono succedute nel tempo, hanno tentato - purtroppo senza riuscirci - di armonizzare gli obiettivi istituzionali dando via via sempre più spazio alla valorizzazione delle diverse figure professionali. Fino a qualche anno fa persisteva almeno il rispetto formale dell'impianto teorico e organizzativo, ma nel corso degli ultimi anni si è assistito al venir meno persino della forma, nella scontata subordinazione del mandato risocializzante alle supposte esigenze di sicurezza, ed anche nella subordinazione di fatto degli operatori del trattamento all'autorità riconosciuta del responsabile dell'area sicurezza. Le conseguenze sono note a tutti. Questo processo appare estremamente pericoloso in termini di tenuta democratica, venendo ad indebolire via via l'organo di tutela superpartes, cioè il dirigente di ruolo civile, in barba peraltro alla Raccomandazione Re (2006)2 del Comitato dei Ministri agli Stati Membri sulle Regole penitenziarie europee, Regola 71. La seconda ipotesi prospettata dal Tavolo 15 va a nostro avviso in questa direzione, mentre la convocazione degli Stati Generali sull'Esecuzione Penale aveva riacceso un filo di speranza di poter procedere in senso opposto.

Ci sembra indispensabile non perdere questa preziosa occasione, per la quale siamo grati all'attuale Ministro della Giustizia, affinché le persone in esecuzione penale possano ricevere dallo Stato l'attenzione dovuta e opportunità concrete di responsabilizzazione e reinserimento. E solo così potremo svolgere, come Amministrazione dello Stato, anche quel ruolo non secondario di tutela della sicurezza collettiva che la Costituzione ci richiede.


Sottoscrivono


Liliana Lupaioli (Prap Firenze); Monica Sarno (Prap Firenze); Grazia Inciardi (CC Roma Rebibbia); Marina Fedeli (OPG Montelupo); Milvia Benucci(OPG Montelupo) ; Elisabetta Beccai (CC M. Gozzini Firenze); Marilena Rinaldi (CC Massa Marittima); Gianna Maschiti(CC M. Gozzini Firenze) ; Giuseppina Canu (CR Porto Azzurro); Liberata Di Lorenzo (CC Pisa);Sabrina Falcone (CC Roma Rebibbia); Cristina De Santis (CC Livorno); Maria Bevilacqua (CR San Gimignano);Cecilia Mattioli (Prap Firenze); Filomena Moscato (CC Frosinone); Alessandro Cini (CR Volterra); Amelia Ciompi (DAP DGDT); Fabiola Papi (CC Arezzo).

EndFragment


bottom of page