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Un contributo alla riflessione: Il Corpo “paradossale” di Giustizia


Il Corpo “paradossale” di Giustizia L’elemento che caratterizza le ipotesi riformistiche (o pseudo-riformistiche, o contro-riformistiche: ciascuno può scegliere da che parte stare!) del sistema dell’esecuzione penale esterna, e che traspare evidentemente anche dai lavori in corso per la riforma del sistema Giustizia, è il paradosso, inteso non come salutare e innovativo distanziamento dalle logiche del senso comune, bensì come insanabile contraddizione interna tra il dire e il fare, tra gli orientamenti teorici e politici e la concretezza dei mutamenti organizzativi messi in campo. Così accade che: A) Mentre ci si sforza da ogni pulpito di affermare la necessità inderogabile che l’esecuzione penale esterna del nostro Paese si omologhi alle tendenze ideali e agli orientamenti organizzativi degli altri paesi europei, si ritaglia poi una configurazione tutta singolare del nostro sistema, disegnato in funzione di interessi particolaristici e di ossessioni securitarie tutte italiane. B) Mentre si intitolano solennemente i nuovi dipartimenti a venire proiettandoli verso la dimensione della Comunità, in nome di u​na penalità esterna sempre più in simbiosi con la dimensione non-carceraria, si continuano ad esportare, dal carcere al Territorio, logiche, modelli organizzativi, prassi di controllo disciplinare e operatori di polizia, espropriando proprio l’invocata Comunità della responsabilità e del tentativo – difficile ma necessario – di assumere la piena titolarità della pena alternativa, di diventare finalmente il luogo centrale della dimensione risocializzante della pena stabilita dalla Costituzione. C) Mentre il settore dell’esecuzione penale esterna degli adulti viene accorpato a quello minorile (da decenni fuori dal paradigma carcerario, almeno tendenzialmente), si introducono pesanti iniezioni di carcere e di controllo poliziesco ad hoc, esattamente lungo la delicatissima linea di tangenza che dovrebbe consentire una nuova forma di osmosi e di comunicazione tra i due sistemi, tutta ancora da inventare. D) Mentre da più parti si invoca nuova vitalità e centralità professionale per gli operatori sociali dell’esecuzione penale esterna, viene poi incredibilmente ipotizzato un unico, autoritario, centralistico Corpo di Giustizia, in cui far confluire (e annegare definitivamente) ogni differenza, ogni distinzione, ogni legittima e democratica salvaguardia delle specificità culturali e professionali. Il pensiero a una dimensione di marcusiana memoria non avrebbe saputo trovare una modalità più cruda e semplicistica: un solo e unico Corpo, un organismo monolitico e integrale, un sistema omogeneo e asfittico, dove ogni legittimo bisogno di differenziazione non sarà altro che un attentato al Corpo e alla sua salute, e chi rivendicherà il diritto alla differenza non sarà altro che un agente patogeno, un batterio da eliminare. Ecco il parto paradossale verso cui ci si sta orientando, in nome dell’Europa e della giustizia di Comunità: poiché è sempre molto più facile unificare che governare le differenze, e affidare la testa e il cuore del nuovo Corpo a chi non ha mai saputo dirigere, ma solo e banalmente comandare. Si tratta davvero di una ri-forma, del tentativo (per molti aspetti necessario) di dare nuova forma al sistema dell’esecuzione penale esterna? Oppure siamo solo davanti ad un nuovo ostinato rigurgito del vecchio, sotto altre spoglie e in ossequio a logiche corpo-rativistiche mai del tutto sopite, sempre pronte a ridestarsi cavalcando l’ondata (pseudo-contro)riformistica? Salvatore Piromalli UEPE di Trento


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