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Un Contributo alla Riflessione: Una lettera nella bottiglia in mezzo al mare


Una lettera nella bottiglia in mezzo al mare


Gli assistenti sociali della Giustizia del settore Adulti hanno partecipato attivamente alla costruzione di una storia significativa di umanizzazione del sistema carcerario italiano fin dal 1975, anno della legge che istituiva il Servizio Sociale nella giustizia adulti, responsabile delle misure alternative al carcere.

A ben considerare, il Servizio Sociale si è posto negli anni come un’alternativa alla dicotomia controllo - aiuto, posizionandosi nel mezzo, esercitando il contenimento anche attraverso il sostegno e viceversa.

Una posizione scomoda, poco comprensibile per chi ha sempre esercitato solo il controllo, vuoi per mandato istituzionale, vuoi per il ruolo, come nel caso della polizia penitenziaria. Un elemento estraneo per chi crede che garantire sicurezza alla cittadinanza significhi solo far vedere più divise sulla scena, ma forse anche poco comprensibile a chi non ha dimestichezza con la complessità e la molteplicità della realtà “spicciola” impossibile da ridurre a letture quantitative al servizio della burocrazia.

Le parole “Servizio Sociale” fino al 2005 caratterizzavano gli uffici che si chiamavano Centri di Servizio Sociale Adulti, dopodiché una legge (a firma dell’on. Meduri!) ha sancito che questi uffici si dovessero chiamare Uffici di Esecuzione Penale Esterna, per meglio definire il mandato. Si potrebbe pensare che la parte dell’aiuto sia meglio nasconderla, non dà sicurezza, non porta voti.

L’estensione dell’accesso alle misure alternative è sempre stato motivato dalla riduzione della compressione carceraria (politicamente non più premiante se affrontata attraverso amnistie e/o indulti), non mai dalla maggiore efficacia delle misure alternative al carcere sul piano dei costi sociali, efficacia dovuta anche al lavoro professionale degli Assistenti Sociali; il numero degli Assistenti Sociali non è mai stato, pertanto, proporzionato al numero delle persone condannate ammesse ai benefici di legge.

Le misure alternative sono state l’asso nella manica di tanti ministri, la soluzione per il sovraffollamento, una possibilità per evitare le condanne europee. Si è ampliata la possibilità di accedere alle misure alternative alla detenzione ed è stato introdotto un nuovo istituto giuridico: la messa alla prova per gli adulti; un cambiamento, una possibilità di rilancio delle misure alternative alla detenzione, un nuovo istituto giuridico che cambia la prospettiva di approccio, di metodo; un orizzonte nuovo, un’ottica diversa, un sistema nuovo da costruire sul modello europeo; si parla di rete territoriale, di giustizia riparativa, di lavoro di pubblica utilità; in carcere si parla di umanizzazione, di apertura delle celle, di attività da fare, di volontariato, di lavoro, avanza un tempo di cambiamento e di rinnovamento.

Nasce un nuovo Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità, dove confluiscono gli Uffici di Esecuzione Penale Esterna e gli Uffici e Servizi della giustizia minorile.

Si indicono gli Stati Generali per riflettere, parlare, confrontarsi, elaborare proposte sul tema della pena.

Questo potrebbe far nascere in molti assistenti sociali, logorati da decenni di perdita di senso, una rinnovata adesione al mandato istituzionale e professionale, una speranza di poter lavorare esercitando il proprio ruolo adeguatamente, in sinergia con il territorio, al fianco degli altri servizi sociali, sui progetti di inclusione sociale, con le famiglie, con il volontariato.

Però, a guardar bene alcuni contenuti delle relazioni intermedie dei tavoli di lavoro degli Stati Generali e la bozza dei decreti attuativi del DPCM, si ha l’impressione di camminare in un’illusione ottica: nella convinzione di andare avanti si torna indietro come nella corsa dei cocomeri in salita.

I contenuti elaborati dal documento del tavolo 15 sono sorprendenti: non solo esso prevede nuove funzioni per la Polizia Penitenziaria in relazione alle misure alternative, ma promette la divisa anche agli assistenti sociali (tutti parte di un unico Corpo, quello della Giustizia, così non ci sarà più divisione).

Altrettanto incredibile è la bozza dei decreti attuativi dalla quale emerge, in generale, un impianto privo di contenuti tranne quello del taglio dei vertici, un modello organizzativo non adeguato ai compiti degli attuali Uffici di esecuzione penale esterna.

Emergono alcune domande: quale innovazione? Quale umanizzazione? Quale reinserimento sociale? Quale sicurezza? E soprattutto: quali risorse per tutto questo?

Ma a parlare di misure alternative e carcere agli Stati Generali non devono essere solo magistrati, direttori di istituti penitenziari, dirigenti e volontari: gli assistenti sociali sono esperti professionisti del settore e ritengono che non si possa organizzare il nuovo senza tenere conto della base.

In primo luogo, nella nostra esperienza, più si accentra l’organizzazione più si rischia di perdere in qualità, tanto più in un lavoro di comunità; si impedisce un lavoro serio sul territorio, non si dà spazio alla progettazione localizzata e si inibisce la creatività.

Le direzioni generali e tutta la dirigenza dovrebbero possedere una conoscenza specifica sul lavoro sociale, un ampio bagaglio culturale, elasticità mentale, spirito collaborativo tra pari, grande propensione alla costante auto-formazione. Il nuovo Dipartimento dovrebbe avere nuove figure dirigenziali o direttive per attivare il cambiamento, ma gli attuali vertici e collaboratori sono gli stessi che hanno contribuito ad affossare il servizio sociale della giustizia adulti con vecchie idee carcero - centriche. Dove troveremo le energie necessarie alle nuove sfide?

Il territorio è e deve essere sempre di più il riferimento per la costruzione di programmi di inclusione sociale per le persone in esecuzione penale e in messa alla prova. Il territorio è la risorsa più importante per il sostegno/contenimento: psichiatrico – psicologico – educativo – lavorativo – di tutela giuridica e per il controllo e la sicurezza. Politiche penali, politiche sociali, sanitarie, educative, del lavoro devono avere come riferimento comune i diritti di cittadinanza ed essere condotte con una visione comune e sinergica.

La multi professionalità negli UEPE non deve essere un “replicatore sociale” del carcere mascherato da ufficio sul territorio. Per quanto riguarda gli esperti, ad esempio, va considerato che gli psicologi clinici e quelli del lavoro sono presenti nei servizi territoriali, mentre non lo sono antropologi, criminologi e mediatori linguistico-culturali. La mediazione penale, terza tra le parti, deve essere esterna al sistema penale.

Si deve dare la possibilità agli assistenti sociali di stare sul territorio con adeguati tempi e risorse, per raccogliere le storie delle persone e occuparsene: non si può pensare di dar vita al cambiamento senza partire dall’incremento delle risorse umane in primis, come anche di quelle strutturali, strumentali ed economiche.

Si deve prevedere di cambiare il nome agli Uffici di Esecuzione Penale Esterna, che non sono più corrispondenti all’intero mandato di questi organismi. Proposta: Uffici di Progettazione Sociale per la Legalità.

Si deve cambiare il nome al “Programma di trattamento”; proposta: progetto di educazione alla legalità. Si deve uscire da una logica medica o carceraria della terminologia.

È necessario permettere a questi uffici un ricambio generazionale. Non basta far arrivare personale solo ed esclusivamente da altre amministrazioni, visto che in tutta la Pubblica Amministrazione non entrano risorse nuove da troppi anni: purtroppo in nessun settore di servizi alla persona l’aggiornamento professionale ha avuto il giusto spazio, ma soprattutto i carichi di lavoro esagerati, distanti da ogni raccomandazione europea, hanno prodotto burn - out in ogni tipo di servizi di frontiera.

E’ invece opportuno che al rinnovamento generale:

  • si accompagni il rinnovamento del personale, in particolar modo permettendo la libera scelta di transitare nel nuovo dipartimento a chi davvero intende misurarsi con le nuove sfide professionali,

  • si metta in campo un grande investimento nella coerenza delle scelte di vertice e delle declinazioni pratiche ed operative di tali scelte. Tutto il contrario di quello che gli operatori e i cittadini hanno visto finora.

Una riflessione e qualche proposta, condite di audacia, senso di responsabilità, per aiutare a realizzare un cambiamento, che possa essere efficace.


Roma, 04/11/2015 Michela Boazzelli

Assistente Sociale

Ufficio Esecuzione Penale Esterna


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